Valeria Bruccola, Coordinatrice nazionale Adida – Siamo circa a metà del periodo di svolgimento delle prove scritte del Concorso 2016 e ci si presenta su un piatto d’argento la possibilità di effettuare un primo bilancio sull’andamento di una delle più gravi ingiustizie subite dai docenti della scuola italiana.
Di per sé, il concorso, sarebbe uno strumento adeguato per effettuare la verifica di idoneità per esercitare una professione ma, non possiamo evitare di ricordarlo, non certo per chi già la esercita una professione a pieno titolo alle dipendenze dello Stato, con tanto di titolo qualificante, l’abilitazione che, a livello anche squisitamente linguistico, è l’elemento che formalizza una abilità professionale.
È così in tutte le professioni, in cui l’abilitazione è il riconoscimento acquisito a mezzo esame, esattamente quello sostenuto da tutti i docenti destinatari del concorso. A chi obietterà che essere abilitati non comporta l’automatismo dell’assunzione, rispondiamo prontamente che i docenti che stanno effettuando il concorso, nella maggior parte dei casi sono già assunti, sono già stati assunti, a pieno titolo, da precari, da anni e su posti vacanti, quelli per i quali stanno concorrendo.
Ma entriamo in medias res, per capire se è possibile riscattare qualcosa di questa insensata situazione. L’unica, è quella di elaborare ideologicamente la partecipazione al concorso, sottolineando all’opinione pubblica che i docenti precari italiani, sebbene discriminati e vessati, si sono dignitosamente sottoposti a qualcosa di illogico, specie se si pensa a quanti tra questi hanno affrontato da poco tempo i loro esami abilitanti, solo per sfatare l’accusa di essere indisponibili alla valutazione. Solo chi vive al di fuori delle mura scolastiche può credere a questa idiozia, perché, anche da precari, la valutazione è un elemento costante e quotidiano, a partire dai Dirigenti scolastici, che non solo controllano ma hanno il potere di sanzionare la condotta dei docenti, potere amplificato dalla legge in vigore.
Ribaltando la questione, invece, siamo noi docenti che possiamo, a metà percorso, valutare quanto da noi affrontato, a partire dalla mancanza di criteri di valutazione delle prove codificati e resi noti, cosa che invece ci viene puntualmente chiesta nel nostro lavoro. Le griglie di valutazione, infatti devono essere palesate in ogni documento, e devono rispettare criteri di oggettività e trasparenza, cosa tutt’altro che garantita in questo concorso in cui, a tutt’oggi, non esistono griglie e, in molte sessioni d’esame, nemmeno i Commissari. Insomma, chi ci valuta non sa rispettare nemmeno i criteri che ci impone.
Non esistono verbali, se non quelli redatti a fine prova. Non esistono adeguate informazioni scritte sul funzionamento della piattaforma informatica utilizzata e le poche indicazioni utili al suo coretto utilizzo, sono verbalmente fornite dal comitato di sorveglianza e sono il frutto degli intoppi e delle penalizzazioni subite da chi ha fatto da cavia nei primi giorni che, malcapitato, ha anche perso irrimediabilmente parte della sua prova. Per non parlare delle domande oggetto delle prove in cui sono stati riscontrano riferimenti a strumenti superati dalle norme e dalle prassi, come Unità didattica in luogo di unità di apprendimento.
Sembra una inutile polemica, a un occhio inesperto, ma non lo è, dal momento che l’approccio ideologico tra l’una e l’altra formula è completamente diverso ma evidentemente gli “esperti” ingaggiati dal Miur non lo sanno. Inoltre, nelle domande, sono richiesti riferimenti ad argomenti al di fuori dei programmi o impossibili da attuare nella programmazione reale, perché lontani dagli standard minimi che la scuola stessa impone.
Quale serietà valutativa poi, può essere prevista per risposte che lasciano il tempo che trovano, nella migliore delle ipotesi nozionistiche, nella peggiore una pallida evocazione di modelli burocratici che comprimono,appiattiscono e non potranno mai pallidamente riassumere un progetto educativo di ampio respiro come quello che si attua nella prassi scolastic
a. Quale insegnante serio, infatti, sarebbe in grado di produrre un insegnante in venti minuti, il tempo medio stimato per risposta, quale ricerca, quale spessore, potrebbe garantire? Per non parlare poi delle sigle, una tra tutte “BES”, utilizzata in modo stereotipato e vuoto, a dimostrazione che chi ha costruito i quesiti non si è posto nemmeno il problema di capire di cosa stesse parlando.
Le segnalazioni di ogni tipo, ormai ,sono all’ordine del giorno e non sono stati nemmeno rispettati i più elementari criteri di buon senso, compreso quello di trattare i candidati in modo adeguato al loro profilo professionale, altamente qualificato e rispondente a criteri fissati dal proprio datore di lavoro, il Miur.
Durante il concorso, invece, il Miur e tutti i suoi rappresentanti “in campo” sembrano esserselo dimenticato, fino a sfiorare il ridicolo… è capitato a Roma dove ai docenti è stato impedito persino di utilizzare il bagno riservato ai colleghi della sede del concorso, obbligando ad utilizzare quello degli studenti. E alla segnalazione dell’assenza di carta igienica nei bagni degli alunni, la Dirigente scolastica si è prodigata a farla recapitare, per colmare questa che è una carenza cronica delle nostre scuole, quella della carta igienica utilizzata come argomento in Parlamento dall’On. Malpezzi per coprire di ridicolo le richieste e le proteste dei docenti contro la “Buona scuola”. Ovviamente nessun altro argomento è alla portata di chi sta difendendo, con superficialità inaudita, uno strumento inadeguato come quello scelto per “selezionare” i docenti, fatto di domandine volutamente retoriche alle quali rispondere retoricamente. Questa è la qualità tanto ostentata dal Miur e dal Governo, questo lo specchietto per le allodole, docenti compresi, molti dei quali aderiscono alla “fuffa” oggetto dei discorsi demagogici del Primo Ministro e della sua squadra.
Il Ministero forse sta aggiustando il tiro in corso d’opera, a partire dall’elemosina destinata ai commissari come compenso e dalla progressiva nomina in tempo utile dei commissari d’esame, assenti nelle prime prove, ma quanto è finora capitato sta progressivamente emergendo e sarà oggetto di precise denunce che, dopo le opportune verifiche, potrebbero mettere in luce un quadro inquietante in cui valore e merito, quello ostentato dal Governo nel vendere il Concorso, non sono i termini adatti a qualificare chi il concorso si è ostinato a metterlo in piedi, a dispetto di tutto ciò che lo sconsigliava, comprese opportunità e buon senso.